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Quando manca l'applauso, 2015
Un libro di riflessioni, domande, consigli ed esempi pratici che l’autore rivolge a genitori e insegnanti per individuare le giuste modalità per costruire una solida autostima e per sanare le ferite, anche quando manca l’applauso.
Capitolo 1
Ogni tanto devo prendermi un attimo di pausa. Questo tizio al mio fianco non mi dà pace: è di una insistenza infinita. Ora, la faccenda del “successo” è un bel pasticcio, perché tutti noi ne abbiamo in qualche modo bisogno, anche se non lo chiamiamo sempre così. Ne abbiamo bisogno sin da piccoli quando vogliamo che qualcuno guardi e sottolinei con esclamazioni i nostri progressi o le nostre imprese.
È un aspetto che tutti noi abbiamo sotto gli occhi, anche se da piccoli pochi di noi si ricordano il modo di manifestarlo e da grandi ci sentiamo a disagio nel riconoscere apertamente che lo stiamo cercando. È una faccenda ambigua e a doppia faccia, che si espone inevitabilmente a eccessi di ogni tipo. È sano e legittimo gioire per un pezzo di coda strappata all’orco? Certamente. C’è per caso da vergognarsi?
Non credo, cioè credo sia legittimo e naturale gioire e inorgoglirsi. Anche nelle tribù più remote del nostro pianeta, l’impresa di qualsiasi tipo accende sorrisi e gonfia il petto. Proprio come per i nostri lontani progenitori, rappresentati con quello strano battere di costole, accompagnato da versi gutturali di dubbia natura ed espressività.
Abbiamo solo raffinato i modi, li abbiamo resi culturalmente accettabili, ma siamo un po’ tutti ancora là, attaccati a quel bisogno di stimarci per qualcosa. Eccoci dunque a confronto con una delle parole più abusate degli ultimi trent’anni: autostima.
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