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roberto-gilardi

Conforto: si può imparare?



Così scrive Valentina dalla Sardegna (nome inventato di persona reale), a seguito dell’ultimo articolo:


“ … … Nel tuo articolo hai parlato di un argomento a me caro: il conforto. Mi hai aperto gli occhi: esiste l’incapacità di confortare! Da ottobre due mie carissime colleghe hanno vissuto un grande dolore. Ad una è morto il marito improvvisamente, è uscito di casa e dopo un’ora l’hanno chiamata dicendole che era morto. All’altra, il figlio di 18 anni ha avuto un incidente in moto, ed è in coma. Sono affezionatissima alle mie colleghe, avrei voluto alleviare un minimo quel peso, ma non sono riuscita. Con la lettura del tuo articolo mi sono resa conto che faccio parte di quelle persone povere, che non sanno confortare. Nasce quindi una domanda per te: si può imparare a confortare? Un caro saluto prof”.


Quelle descritte sono due delle situazioni più difficili che una persona incontra nella vita, sia come protagonista che come possibile aiutante che vuole confortare, per l’affetto e la compassione che nutre.


Non ho codificato a priori questo argomento, per cui rifletto con voi a voce alta, come se ci potessimo confrontare alla pari, partendo ovviamente dalle nostre esperienze di vita.


Parto dalla maggiore difficoltà che ho incontrato nell’essere di conforto a qualcuno.


Diversi anni fa mi telefona il mio medico di famiglia e mi chiede se posso essere d’aiuto ad una coppia di genitori che ha perso il figlio molto giovane, suicidatosi due giorni prima, e mi dà il loro telefono. Chiamo e fisso un appuntamento a casa loro, perché anche se normalmente non si fa, questo mi sembra un caso speciale sul quale non andare troppo per il sottile.


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